Creatività e processo creativo: tutta la verità

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 Hai anche tu la sensazione che la parola creatività venga usata un po’ a sproposito, negli ultimi anni?

Credo che processo creativo e creatività siano da sempre idealizzati.

Pensando a un creativo potrebbe venirti in mente qualcuno vestito in un certo modo, un po’ originale, forse addirittura soggetto al consumo di sostanze stupefacenti (dopotutto è ormai tanto comune quanto sbagliato pensare che per avere idee brillanti serva un aiutino).

In realtà tutti siamo creativi, perché la creatività è la capacità di trovare delle soluzioni inusuali ai problemi e attenzione, tutti possediamo questo potere.

La cena preparata con gli avanzi della settimana, per esempio, è un puro atto creativo e il processo creativo è tutto ciò che va dal momento in cui apri il frigo a quando ti accomodi a tavola.

La creatività, se ci pensi, va a braccetto con l’esperienza e la conoscenza.
Ecco perché si può dire che si tratta di una skill (il problem solving appunto) e che può essere sviluppata e allenata.
Più riusciamo a esercitarla, più diventa forte e veloce nelle risposte che ci offre.

Ti ho appena fatto cadere un mito?
Preparati perché ne ho altri da smontare.

Falsi miti sul processo creativo.


Progettare non fa rima con fotosciòp o Canva.
Aprire un modello di Canva e lavorarci va bene, ma non significa essere creativi, elaborare un concept, dare significato alle cose.

E che bello quando arriva un progetto in cui ci si può sbizzarrire e lasciar correre la fantasia!
Di certo le idee folgoranti non ci mancheranno, perché gli amici non fanno che ripeterci “Quanto sei geniale”!

Ehm, no, non funziona così.

Il processo creativo è fatto di molte idee sbagliate, fallimenti e frustrazioni, finché a furia di ricercare, lavorare e limare si ottiene un risultato accettabile, pienamente soddisfacente e solo infine oltre le aspettative e – con un po’ di fortuna – grandioso.

Il risultato raramente nasce da un’illuminazione divina, è molto più spesso il prodotto di un metodo collaudato e legato alla disciplina.

Nel suo libro The Art of Thought del 1926, Graham Wallas riconosce 4 fasi all’interno del pensiero creativo, fasi che ci accomunano tutte/i e che attraversiamo in modo naturale, più o meno consapevole, ogni volta che progettiamo qualcosa.

Fase 1: preparazione e pensiero laterale.


Questo è il regno di appunti, questionari, schizzi e idee non troppo complete, perché prima di compiere qualsiasi azione, raccogliamo dati.
Ti poni in modalità ricettiva e di ascolto, osservi e pensi in modo libero.

Pensare in modo libero significa prendere in considerazione anche elementi apparentemente insignificanti, che possono diventare preziosi per fare la differenza.

Spesso è a questo punto che si mettono in moto le dinamiche tipiche del pensiero laterale, ossia quell’approccio indiretto che considera la questione da affrontare da prospettive diverse.
È il pensiero laterale che ti permette di trovare risposte inusuali e non scontate e va a spasso con il processo creativo dall’era dei tempi. Sono proprio migliori amici.

Quindi accomodati e inizia a creare connessioni dove prima non ce n’erano, a costruire, distruggere e ricostruire.

Se hai la possibilità di fare brainstorming, questo è il momento perfetto.

Fase 2 del processo creativo: incubazione.


Qui ci sono due possibilità:

  • te la sbrighi in qualche giorno
  • ne riparliamo tra qualche settimana (o mese, o anni…).

Dipende sempre da chi sei e cosa devi creare: è chiaro che, se come me, ti occupi di graphic design non puoi impiegare anni sui progetti dei tuoi clienti, perciò avrai sviluppato un tuo procedimento.

Questo è uno step in cui spesso regna la frustrazione. I pensieri sono disordinati, a volte addirittura oscuri.
Ora è importante elaborare tutto e trovare il modo migliore per “mettere a terra” e rendere reale tutto quanto. Ci riuscirai a tempo debito, sono sicura.

Fase 3: la tanto bramata illuminazione!


L’illuminazione esiste.
Non sarà divina, dicevamo, ma arriva e quando lo fa è molto concreta.

Finalmente caos e oscurità lasciano il posto alle soluzioni, le idee arrivano in maniera più lucida e la chiarezza si fa strada, suggerendoci come rendere tangibile ciò che abbiamo in mente.

A volte arriva con fatica, dopo uno sforzo prolungato, altre volte in maniera fulminea, spesso di notte in sogno o mentre fai la doccia.

Agatha Christie diceva che il momento migliore per concepire i suoi libri era quando lavava i piatti!

Anche prenderti un tempo per non fare nulla significa dare la possibilità ai pensieri di prendere da soli una nuova forma.
È proprio in quei momenti che, a volte, le idee si rivelano sorprendentemente.

Fase 4: valutazione e verifica.


@ Visual Identity | Hotel Tre Torri

Ora fai molta attenzione: potresti innamorarti della soluzione che hai trovato (capita a tutti) ma funziona?
La fase di verifica chiude il processo creativo, perché il pensiero critico servirà a capire se il parto creativo della tua mente risponde al motivo per cui è nato.

Se lo fa, ottimo, ce l’hai fatta!
Se invece valuterai che quel che hai prodotto è migliorabile o addirittura sbagliato, lavora di cesello: di certo sei sulla strada giusta, ti rimane solo di capire come imboccarla.

Al posto del cesello, considera di sfruttare il concetto del “rasoio di Occam”:

«È inutile fare con più ciò che si può fare con meno.»

Il “rasoio di Occam” è un principio metodologico che, attraverso la metafora del rasoio, appunto, indica di scegliere, tra più soluzioni possibili di un problema, quella più semplice. (wikipedia docet).

In sostanza, all’interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno ricercate la semplicità e la sinteticità.
Ma ehi, la soluzione più “semplice” non è quella che affiora per prima alla mente. È anzi quella che, solo una volta affrontati i limiti ed eliminate le complicazioni, appare chiara, coerente e di immediata comprensione.

L’applicazione del design thinking che non ti aspetti.


All’inizio di questo articolo ti ho parlato di un’applicazione tipo, quotidiana, della creatività: preparare la cena.
Ora vorrei raccontarti brevemente un altro contesto in cui diamo sfogo alla creatività, un po’ inusuale per i comuni mortali: l’investigazione.

Conosci Patrick Jane, The Mentalist?
Se non lo conosci puoi recuperare la serie TV crime che lo vede protagonista, altrimenti so che riuscirai comunque a seguire il mio discorso.

Patrick Jane è un consulente del “California Bureau of Investigation”, un’agenzia statale di investigazione americana che si occupa in prevalenza di omicidi.

Il processo che utilizza per risolvere i casi è davvero tanto simile a quello che ti ho appena descritto e che anche io, come designer, metto in moto quando lavoro su un progetto grafico di identità visiva.
Patrick, in pratica:

  • verifica ogni ipotesi da vari punti di vista e trova soluzioni, anche rompendo le regole;
  • non procede alla cieca o aspettando che la soluzione caschi dal cielo, tanto meno si accontenta di un risultato mediocre o banale, approfondisce ogni dettaglio senza lasciare nulla al caso, lavora con metodo e concentrazione;
  • delinea percorsi e processi creativi considerando tutti gli elementi a sua disposizione e avendo sempre ben presente chi deve aiutare;
  • affronta tutto con ironia, leggerezza, curiosità ed entusiasmo, quindi in modo positivo e propositivo (non pesante ma tutt’altro che superficiale);
  • si relaziona alle persone con attenzione e attivamente, va oltre ciò che viene detto o mostrato esplicitamente; 
  • si spinge sempre un po’ più in là di quella che potrebbe essere la prima soluzione possibile, non si accontenta.

Vedila così: ogni caso da risolvere è un progetto, dalle dinamiche sempre diverse e imprevedibili e anche se la struttura dei casi più o meno è sempre la stessa, è la soluzione finale e ingegnosa che ne esprime l’unicità e la validità.

Funziona allo stesso modo per una graphic designer come me.

Cosa significa progettare?


Progettare è prima di tutto quell’azione cognitiva, intuitiva, creativa e immaginifica che nutriamo di domande e alimentiamo di ipotesi da verificare.

Se un designer riesce a “leggerti nella mente”, come Patrick Jane, è perché si è fatto le domande giuste, ha attivamente partecipato alla relazione tra te e il tuo progetto diventandone responsabilmente parte integrante, ha l’esperienza e la formazione per trovare la soluzione migliore per te.

Il bello o brutto non bastano, perché il design (la progettazione) svolge prima di tutto una funzione, adempie a uno scopo, veicola un messaggio.

Può un logo fare questo? SSSì.

Può una selezione studiata e curata di colore e tipografia fare questo? Certo.

Può un’immagine coerente e coordinata amplificare il potere del tuo messaggio? Assolutamente.

Quando progettiamo i nostri contenuti, quando affidiamo a un professionista la nostra identità visiva, non lasciamoci travolgere dalla smania del fare inconsapevole.
Pensiamo al nostro caro Patrick e facciamo le mosse giuste. Che ne dici?

La tua prossima mossa potrebbe essere proprio questa: prenotare subito una call conoscitiva gratuita per conoscerci! 😜