Le parole contagiose: lo sciame virale degli anglicismi ai tempi del Covid

di Serena Falconi

Ogni evento umano ha riflessi che toccano la lingua, perché attraverso la lingua gli uomini prendono coscienza dei fatti, li soppesano, li giudicano, ne traggono conseguenze. Le tracce dei fatti restano sempre appiccicate alle parole”.

Così scrive il presidente uscente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini il 9 Marzo 2020 in un suo articolo, parlando dell’aggravamento di un’altra epidemia, secondaria e meno grave rispetto a quella del coronavirus, che è quella degli anglicismi nella nostra lingua quotidiana.

Lockdown, smart working, droplet, recovery fund e molti altri: l’accademia della Crusca, istituzione di riferimento della lingua italiana (il cui nome si riferisce proprio al lavoro di ripulitura della lingua), si confronta con un nuovo sciame di anglicismi, penetrati nel nostro linguaggio con la diffusione del virus.

Primo fra tutti il termine lockdown. L’Oxford English Dictonary lo identifica come vocabolo americano che nasce negli anni Ottanta nel linguaggio giuridico carcerario per indicare la situazione di isolamento dei detenuti, quando a seguito delle conseguenze delle rivolte in carcere, vengono chiusi nelle celle e non possono più circolare nei corridoi o avere l’ora d’aria. Il termine si diffonde in America relativamente ai casi di emergenza nelle università e nelle scuole quando ci sono le sparatorie, permanendo nell’ambito giudiziario. Compie il suo salto semantico nel campo medico e sanitario nel 2012, quando scoppia la Sars 1 e i giornali americani lo utilizzano per parlare degli ospedali in Oriente.

Per definire l’imposizione di stringenti restrizioni su interazioni sociali e spostamenti, l’italiano ha abbracciato senza resistenze l’utilizzo di lockdown mentre altre lingue, come il francese e lo spagnolo, hanno sin da subito optato per la versione europea del termine: confinement e confinamiento.

Forse per la difficoltà del momento in cui si trovava il Paese, in cui una battaglia linguistica non sarebbe stata prioritaria, o forse per l’incertezza di una traduzione precisa da suggerire (confinamento è un termine inevitabilmente legato a un preciso contesto storico e avrebbe rimandato immediatamente al confino di epoca fascista), ma il gruppo di esperti di Incipit, la commissione all’interno della Crusca la cui funzione è quella di monitorare ed esprimersi sui neologismi e forestierismi incipienti nella fase in cui si affacciano nell’italiano e suggerire equivalenti italiani prima che questi prendano piede, ha deciso di non prendere posizione.

Una “debolezza” la nostra? Marazzini la definisce così, la nota disponibilità degli italiani nei confronti dei forestierismi. Non si tratta di una bolla a sé stante creatasi in occasione della pandemia, spiega il cruscante, ma è qualcosa che riproduce per l’occasione un fenomeno già ampiamente presente e alla cui base c’è la minore fiducia degli italiani nella propria lingua nazionale rispetto ad altri popoli latini.

Nella stampa spagnola e francese, infatti, il numero di anglicismi è molto minore.

La pandemia ha portato con sé anche una valanga di termini tecnici, essendo l’inglese la lingua della letteratura scientifica.

Ma esiste un atteggiamento “più giusto” da adottare di fronte alle parole straniere?

Il passaggio dei tecnicismi al linguaggio quotidiano è automatico?

Il confronto con forestierismi e tecnicismi è la fase che sta attraversando il linguaggio in questi mesi, per poter poi essere consegnato alla storia della lingua e al dire comune.

La partita è aperta.

Alcuni anglicismi sono in netto vantaggio (lockdown primo tra tutti – ma forse con lui non c’è mai stata una vera possibilità), altri sembrano pian piano fiaccarsi. Salto di specie si è affermato sull’avversario spillover, così come goccioline è in rimonta su droplet, utilizzato molto nella prima fase dell’emergenza sanitaria. Duellano invece ancora, con alterne fortune, smart working e lavoro agile. 

Tecnicismi, anglicismi, neologismi: la nostra lingua non poteva rimanere indifferente di fronte agli eventi del 2020. 

Rispetto a un passato in cui tutti questi ismi facevano il proprio ingresso a piccoli passi, i “termini del virus” si sono diffusi nel 2020 con grande rapidità, per la situazione di emergenza e la necessità di comunicarla. Di pari passo con l’evoluzione della pandemia e con i provvedimenti da adottare per contrastarla, la lingua dei media e la lingua istituzionale generano nuove espressioni, evolvendosi così fianco a fianco.

Tra lingua e società esiste uno stretto rapporto che si muove in entrambe le direzioni. Quando siamo davanti a una realtà nuova abbiamo bisogno che la nostra lingua si modifichi per esprimerla ed ecco che nascono parole nuove. Oppure accade che parole che prima avevano un significato lo cambino per adattarlo a nuovi contesti.

Come nel caso di  tamponare, che lo Zingarelli 2021 riporta con la nuova definizione di “sottoporre a esame diagnostico, mediante tampone, campioni di secrezioni organiche”.

Il salto semantico è forte ed è tipico di una lingua vivace e in evoluzione.

Anche il Devoto-Oli, nella sua nuova edizione, si sintonizza con i tempi e include 600 nuovi termini tra cui: lockdown, quarantenare, tamponare, distanziamento sociale.

La duttilità del linguaggio va di pari passo con la sua dinamicità. Il lessico è destinato a rinnovarsi continuamente in un processo inarrestabile e la nube di anglicismi con cui la nostra lingua (e tutte le altre)  sta facendo i conti è stata quest’anno più fitta che mai.

Non possiamo ancora sapere cosa resterà di questo linguaggio pandemico finita l’emergenza.

Non è affatto detto che tutte le nuove parole riusciranno ad affermarsi, alcune ricadranno nell’ombra, come per quell’astrocane, “cane lanciato nello spazio cosmico”, rintracciabile in un dizionario di neologismi del 1987.

Mentre continuiamo a confrontarci con un periodo costellato di incertezze, cercando di capire quanto questa fase storica ci avrà effettivamente cambiati, osserviamo nel frattempo che è la nostra lingua ad essere sicuramente cambiata: né migliore, né peggiore, semplicemente diversa.