La solitudine del freelance: come l’ho sconfitta in un anno di isolamento

di Maria Elena Marras

Se sei freelance e liber* professionist*, penso che conosca bene la condizione citata nel titolo: la solitudine. Oggi non sono qui per fare racconti strappalacrime, o dal retrogusto pausiniano, anzi. La mia vuole essere una condivisione di esperienze, sbagli, pratiche e tentativi, con cui addomesticare il senso di vuoto o alimentarlo, se necessario. 

Inizio col dire che io ho cominciato a lavorare da remoto nel 2010, quando i potenti mezzi della tecnologia non erano poi così potenti ancora, ma era comunque già fattibilissimo. Ne ho avuto la possibilità e l’ho scelto, senza pentirmene mai. L’ho fatto da dipendente di una multinazionale e anche da dipendente di una società italiana, per poi farlo in modo più stabile ancora da freelance.

Continuo col dire che io sono una che da sola ci lavora bene. Ho un discreto senso della disciplina (talvolta stacanovismo, ma questa storia ve la racconto un’altra volta), che mi aiuta a limitare le distrazioni. Ho imparato nel tempo, grazie a un’inclinazione personale ma anche a corsi specifici, a pianificare e organizzare le attività. Mi piace il silenzio, la tranquillità di non avere un viavai continuo in ufficio che mi distrae, la flessibilità di orari e giorni, le pause e le ferie che posso decidere io e tante altre cose.

Insomma, fino a qui sembra un quadro idilliaco. O forse no?

No. Perché a chi lavora fuori da un ufficio e senza un team stabile, manca tutta la parte di confronto, conforto, chiacchiere, consigli, scazzi ma pure pacche sulla spalla, dibattito su libri da leggere, webinar da seguire, prospettive alternative, dritte da mettere in pratica e mille altre cose che al mercato mio padre comprò. In un concetto solo: manca la potenza della rete. Cioè una parte importantissima del nostro lavoro di Partite Iva, qualsiasi esso sia. Se questo discorso può valere sempre, nel 2020 che ve lo dico a fare? Importa almeno il doppio, forse di più. 

Se c’è una cosa che mi è mancata moltissimo quest’anno sono le occasioni di incontro: aperitivi informali, colazioni tra freelance, corsi o eventi di settore in presenza. Questi ultimi sono eventi che, personalmente, mi prosciugano ma da cui torno sempre con un bagaglio di esperienze, formazione e umanità incredibili, che poi lascio sedimentare e germogliare nel tempo. E poi ci ho sempre incontrato tantissime persone che trovo professionalmente fantastiche. 

In equilibrio tra rete e spazi solo per me

In pieno lockdown, tra marzo e aprile, mentre mi frullava in testa di formare un piccolo gruppo di scambio e confronto, mi scrive Roberta Tafuri per chiedermi di sentirci. Non so se mi abbia letto nel pensiero, ma mi voleva chiedere pressappoco una cosa simile. Le ho esposto la mia idea e abbiamo esteso l’invito alle professioniste incontrate al Freelancecamp romano dell scorso anno, che sono quelle con cui state  trascorrendo questi giorni di Controavvento. Una riunione ogni settimana, in cui ci confrontiamo su diversi temi, condividiamo dubbi, preoccupazioni, ma anche spunti e soluzioni. Per adesso siamo solo (?) un gruppo di sciamannate che si barcamenano tra Business Model Canvas e casi studio, idee e come metterle in pratica, ma un giorno magari ci troverete a fare le Presidentesse del mondo. Se succede, sappiate che tutto è cominciato così: per creare una rete di “salvataggio” in un periodo che costringe ognun* di noi a isolarsi per salvarci da un virus, ma non da tutto il resto. 

In questo anno al contrario, ho deciso anche di investire in un corso online per rafforzare la struttura del mio lavoro. Un corso necessario per acquisire e rimpolpare strumenti di management, pianificazione di obiettivi e business, e tanto altro. L’ho fatto perché non volevo “sprecare tempo” e approfittare di questo momento per spingere sull’acceleratore, quando tutto intorno gridava: fermati! e io niente, mica ci sentivo da quell’orecchio. E infatti il momento in cui mi sono chiesta che cazzarola stessi facendo, con relativo scoramento, è arrivato. Come uno schiaffo in faccia, a ricordarmi che tutto questo fare poteva avere un senso soltanto se messo in prospettiva. 

Per questo, con alcune delle altre partecipanti al corso ho formato un piccolo gruppo di studio, nel quale mettiamo in pratica gli strumenti del corso e confrontiamo il risultato con le altre. Chiediamo pareri, ci arrovelliamo sui business plan, smontiamo e rimontiamo modelli di business sulle professioni molto diverse di ognuna di noi, chiediamo aiuto. E lo troviamo, sempre, senza giudizio o pregiudizio, ma con una buona dose di concretezza e sincerità. Che, non so cosa ne pensiate voi, ma per me sono merce rarissima e preziosa più dei diamanti. Ah sì, poi c’è anche l’angolo polemichetta e gossip, perché ok il calendario editoriale e gli obiettivi di business, ma non di sole fatture vive un* freelance, giusto?

Mi sono poi unita a una rete di freelance in cui facciamo mutuo scambio di competenze, skill sharing, per darci una mano a crescere. L’idea nasce da tre professioniste con carriere diverse ma esperienze comuni, e questa rete è più variegata che mai. Ci sono alcuni progetti in ballo anche con loro e spero che possano fiorire presto. 

Infine, poco prima di Natale, dal mio canale Instagram ho lanciato un invito a chi già era nella mia rete. Ho preso ispirazione da Roberta che lo aveva fatto tempo fa, e ho chiesto di fare delle call individuali. Chi aveva piacere, poteva rispondere alle mie stories e avremmo fissato un’oretta su Skype per conoscerci meglio. Perché gli scambi sui social sono preziosissimi, ma una chiacchierata in cui possiamo vederci e parlare di tutto quello che ci va, è meglio no?

Fino a questo momento, ho fatto tre call e mi sono piaciute moltissimo. Tre donne con cui abbiamo chiacchierato di metodi, ma anche di cose che col lavoro non c’entravano nulla. Di corsi da fare, di come ci posizioniamo sul mercato e di quanto è difficile trovare clienti o lavorare da casa coi figli nella stanza accanto. Questa iniziativa per me non ha una fine, conto di rilanciarla periodicamente, proprio perché è uno dei tanti modi per entrare in contatto con persone e professionist* che stimo. E finché la pandemia non lo permette dal vivo, io mica mi arrendo.

E quando invece la solitudine l’ho voluta coltivare?

Una delle prime cose che ho fatto è stata disattivare le notifiche delle principali app di social networking. Se non possiamo interagire dal vivo, ci riversiamo su Instagram, LinkedIn e Facebook, ma il mio smartphone non stava fermo un attimo. E così il mio cervello, continuamente sollecitato da richiesta di attenzione esterna. Io ho capito che non è sano per me, e che mi tengo stretto il mio sacrosanto diritto a non voler leggere tutte le notifiche in tempo reale. 

Comunque, per chi non volesse farlo in modo permanenente come ho fatto io, esistono applicazioni dedicate tipo Freedom, con la quale impostare un lasso di tempo e le app da bloccare.

Per bloccare le app per un tempo preciso, magari proprio quello che impiegate per un determinato lavoro, vi consiglio di stabilirlo con Toggl. Un’app con la quale monitorare e appuntare il tempo impiegato per stilare un piano editoriale, scrivere un blog post, impaginare un documento di brand, compilare una fattura e tanto altro. 

Finisco la lista con un’app che mi ha aiutato molto soprattutto nel primo lockdown, ed è Headspace. Sessioni guidate di meditazione mindfulness, dalle più basiche a quelle un po’ più avanzate, divise per obiettivi e stati d’animo. Tutta in inglese, a me è piaciuta moltissimo anche per lo stile verbale, il tono di voce e l’identità del brand.

Come promesso all’inizio, questo post non vuole essere una guida al “come si fa”, piuttosto una serie di spunti ed esperienze.
Grazie a tutto quello che vi ho raccontato e alle persone con cui l’ho vissuto, sono arrivata alla fine dell’anno con una maggiore consapevolezza del mio lavoro e, soprattutto, di come voglio farlo. Volontari o involontari, ho avuto dei confronti e dei feedback che hanno rafforzato la mia identità professionale, in un momento in cui ne avevo davvero molto bisogno. 

Vi lascio con un’altra certezza infranta da questo 2020 appena concluso: io sono un’introversa, cioè una che ricerca dentro di sé le energie, gli spazi, le risorse e le risposte, e per questo ho sempre pensato che per me fare rete fosse difficilissimo. Mi pare di essermi proprio sbagliata, ma stavolta non potrei essere più felice.