Di podcast, passeggiate e fallimenti

di Agnese Iannone

Questo 2020 lo divido in quattro fasi:

  • L’ingenuità (gennaio/febbraio)
  • L’ansia (marzo/maggio)
  • Una nuova speranza (giugno/settembre)
  • La stanchezza  (ottobre/attualmente)

Per ognuna di queste fasi ho reagito in linea di massima con due stati d’animo, a volte alternando entrambi durante non la stessa fase, ma la stessa ora: entusiasmo o voglia di chiudermi in un eremo e buttare la chiave.

Mi ritengo una persona tutto sommato propositiva, faccio cose, vedo gente, ma quando mi sento sopraffatta da qualcuno o qualcosa, mi chiudo a riccio. 

Avete letto il mio post precedente sull’identità? Facciamo che lo riassumo: bisogna concedersi il lusso di ascoltare e accogliere i nostri desideri e le nostre necessità, anche quando ci sembrano poca roba rispetto a tutto quello che succede nel mondo. 

Nel momento in cui mi sono sentita circondata di opinioni e persone impegnate in qualcosa di socialmente meraviglioso, ho sentito un’esigenza mai considerata fino ad allora: uscire per una passeggiata. Il che è stranissimo perché io ci stavo e ci sto bene dentro casa, non sono una che patisce la solitudine né che sente la necessità di stare in mezzo alla gente. C’è un solo grande problema nel rimanere tra le quattro mura domestiche, il computer e, più nello specifico, i social. All’inizio di quest’anno mi davo la scusa che stare sempre online mi permetteva di rimanere aggiornata o in contatto con le persone, potevo seguire contenuti interessanti e approfondire la mia formazione. Dopodiché ho cominciato a soffrire anche queste cose: troppa scelta, troppi contenuti, troppe battaglie da combattere e, soprattutto, non riuscivo più a sentire me. Sentivo solo le considerazioni altrui che mi facevano dubitare di essere all’altezza o sufficientemente coinvolta, ma poco altro.

La mia fortuna è stata avere un’amica che mi ha trascinata fuori per fare una passeggiata nel parco vicino casa. “Ti sentirai meglio” diceva. “Devi cambiare aria” sosteneva di fronte alla mia aria dubbiosa. Il finale è abbastanza scontato: non solo sono andata a camminare, ma ho continuato a farlo da sola ascoltando i podcast. 

I podcast non sono il mio strumento preferito, perché ho la tendenza a distrarmi e fissare il pensiero su altro. Finché leggo e gli occhi sono costretti a fissare le parole, va tutto bene, ma quando c’è una voce esterna che racconta qualcosa, io perdo la concentrazione. Ci sono persone che ascoltano i podcast svuotando la lavastoviglie, altre che lo fanno durante il tragitto verso il lavoro o mentre sono al supermercato. Io no.

Quando ho iniziato a camminare per allontanarmi da quel mondo sempre connesso che mi stava soffocando, mi serviva anche qualcosa che mi costringesse a non aprire Facebook o Instagram. Tanto lo sappiamo come funziona, vuoi tenerti alla larga dai social ma poi li controlli compulsivamente. La musica non era sufficiente allo scopo, quindi ho approfittato di un’offerta su Storytel per iniziare questa nuova routine fatta di passeggiate e podcast.

A questo punto vi elenco quello che ho ascoltato finora così, magari, può essere uno spunto anche per voi.

  1. A Babbo morto. Una storia di Natale di Zerocalcare, letta dall’autore, Neri Marcorè e Sabina Guzzanti. Ho voluto cominciare con qualcosa di semplice, metti che mi stufavo al primo quarto d’ora? Invece è andata bene, tanto che ho comprato anche la versione cartacea.
  2. Polvere. Il caso Marta Russo. Di Chiara Lalli e Cecilia Sala. Anche qui la scelta è ricaduta su qualcosa che mi potesse già interessare e la cronaca nera fa parte di quegli interessi. Mi piace come è stato strutturato il podcast, tra ricostruzioni e audio originali, e in più ascoltare questo tipo di storie fa passare il tempo della camminata più velocemente.
  3. A mente libera di Rick DuFer. Su questo avevo qualche timore perché parla di filosofia e distrarsi con la filosofia non è proprio il mio ideale di leggerezza, però una mia amica me ne aveva parlato così bene che gli ho dato una possibilità. E ho fatto bene, perché Rick DuFer sa spiegare in maniera coinvolgente e abbastanza chiara concetti molto complessi. In più riesce a toccare argomenti che, in questo momento, mi riguardano particolarmente come l’infodemia, cioè la circolazione eccessiva di informazioni.
  4. Last but non least il podcast che ho ascoltato più di una volta: Le parole per farlo di Annamaria Anelli, in cui le persone vengono accompagnate a scoprire e usare le parole più giuste mentre si cerca un lavoro o nuovi clienti, per raccontare la propria identità.

Ecco qui che torna la parola su cui mi sono interrogata tanto nel 2020. Questo podcast, diviso in capitoli, affronta anche due tematiche su cui, a volte, si fanno orecchie da mercante: il fallimento e la fragilità. Spesso questi due elementi vengono ancora considerati tabù per ovvi motivi, ammettere una crepa nella nostra storia è come ammettere di avere una mancanza. Annamaria Anelli, attraverso le sue interviste, mostra come fallimento e fragilità vadano esplicitati se fanno parte del nostro percorso, perché quello che noi riteniamo giusto tacere, può creare empatia e coinvolgimento nelle persone con cui parliamo. Tutto sta nel guardare le cose da un’altra prospettiva.

Nell’altro post che ho scritto vi invitavo, nei ritagli di tempo, a segnare quelle cose che vi piace fare, che vi riescono bene, anche se vi sembrano di scarso valore. Probabilmente, rileggendole ora, vi sembrano sempre inutili o peggio ancora delle possibili fragilità. In una delle puntate del podcast viene intervistato un professionista che io stimo molto, Luigi Centenaro, uno dei massimi esponenti di personal branding. Tra le altre cose, lui suggerisce un esercizio: scrivere quelle che sono le nostre debolezze e capire come o in quali ambiti possono essere considerate dei punti di forza. Facciamo un incrocio con il mio di esercizio: ho iniziato a camminare per allontanarmi dai social e ritrovare una capacità sana di utilizzo. Bicchiere mezzo vuoto: camminare richiede almeno un’ora al giorno tra preparazione e attività motoria, ora che si potrebbe utilizzare per fare qualcosa di più produttivo. In più quale persona adulta deve camminare per allontanarsi da un problema invece di affrontarlo? Potrei usare delle applicazioni per bloccare i social alcune ore durante la giornata. Allora è vero che sono una fallita, neanche sono capace di gestire la vita digitale! Bicchiere mezzo pieno: a parte i benefici di un’attività fatta costantemente, camminare mi aiuta a fissare e mantenere una disciplina. In più ascolto dei podcast che mi permettono di focalizzarmi su alcuni concetti, diversificando l’uso che faccio delle piattaforme digitali.

Quanto suona più fico così? Sembro una che sa il fatto suo.

Riesco sempre a farlo? Certo che no. Ogni tanto mi viene ancora voglia di chiudermi in un eremo perché non mi sento all’altezza/soffro la condivisione eccessiva? A voglia.

Quello che, però, mi e ci auguro è di riuscire qualche volta a vedere i nostri lati negativi da una prospettiva più luminosa.