Tradurre: un viaggio alla scoperta dell’altro
Quattro libri sulla traduzione che meritano un posto sullo scaffale
(per gli addetti ai lavori, gli appassionati, i curiosi)

di Serena Falconi

La traduzione non è mai una mera questione di contenuti o di parole.

Il processo traduttivo è qualcosa di molto più totalizzante che coinvolge questioni culturali e creative.

Tradurre è un’operazione tanto complessa e profonda quanto naturale e umana: è quello che facciamo tutti i giorni quando ascoltiamo l’altro e cerchiamo di capirlo.

Tradurre è una costante domanda, un viaggio avvincente costellato di sfide: è bello, difficile e necessario. È una ricerca instancabile oltre le parole per andare al cuore di un rapporto, quello tra la nostra identità e l’alterità.

Questi titoli sono un coro composto da voci di traduttori e linguisti che attraverso riflessioni teoriche, esperienze pratiche e racconti intimi sondando gli aspetti più profondi dell’arte di tradurre.

  • La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre – Franca Cavagnoli

Franca Cavagnoli, una delle più importanti traduttrici editoriali italiane spiega, con numerosi esempi e notevole pragmatismo, come affrontare un testo che ci si approccia a tradurre. Con l’intento di condividere le esperienze e le riflessioni maturate nell’ambito della traduzione, sottolinea l’importanza della riflessione in ogni traduzione, che è un’esperienza a tutto tondo. 

Tradurre non vuol dire solo conoscere il significato dei vocaboli di una lingua straniera, ma anche essere consapevoli della cultura nella quale essa è nata e si è sviluppata.

“La traduzione è, in quanto esperienza, riflessione. È prima di tutto un fare esperienza dell’opera da tradurre e nello stesso tempo della lingua in cui quell’opera è scritta e della cultura in cui è germinata. E subito dopo è un fare esperienza della lingua madre e della propria cultura, che deve accogliere, vincendo ogni possibile resistenza, la diversità linguistica e culturale del romanzo (o di qualunque altra tipologia testuale, n.d.r) da tradurre.”

  • Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione – Umberto Eco

Frutto di una serie di seminari e di conferenze che Umberto Eco tenne all’Università di Bologna, a Oxford e a Toronto negli ultimi anni della sua vita, il libro raccoglie riflessioni su problemi teorici che prendono spunto da esperienze pratiche. Eco, nel corso della propria carriera, non è stato solo un traduttore, ma anche un correttore di traduzioni realizzate da altri. In più, in qualità di autore tradotto in ogni parte del mondo, non ha potuto fare a meno di collaborare con chi lo traduceva.

Il quesito centrale è che cosa voglia dire tradurre, e la risposta, ovvero la domanda di partenza, è che significhi “dire quasi la stessa cosa”.

Oltre a veicolare concetti non sempre condivisi dalla cultura di partenza e di arrivo, infatti, tradurre significa anche rispettare determinati suoni e ritmi e, specialmente, riuscire a suscitare nei lettori di diverse aree geografiche le medesime reazioni. La sfida si fa complessa nel caso di barzellette, giochi di parole, fraseologismi e metafore, che viene qui analizzata in ogni sua forma con commenti puntuali e critici.

Al termine della lettura si ha l’impressione di avere poche risposte certe sull’argomento, eppure tante nuove domande: non a caso, occuparsi di traduzione non è mai un’operazione meccanica sempre uguale a sé stessa. Accompagnati da Umberto Eco in questo viaggio avvincente si realizzerà che più ci si prova, e più è difficile dire proprio la stessa cosa.

  • Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione – George Steiner

Il saggio di George Steiner, pubblicato per la prima volta nel 1975, è ormai un classico e rappresenta il primo tentativo di situare la traduzione al cuore della comunicazione umana.

Dopo Babele premette che la traduzione è formalmente e praticamente implicita in ogni atto di comunicazione: capire significa sempre decifrare, anche quando la comunicazione avviene all’interno della stessa lingua.

Ma benché noi “traduciamo” ad ogni istante quando parliamo e riceviamo segnali nella nostra lingua, è ovvio che la traduzione nel senso più lato e più usuale avviene quando s’incontrano due lingue. 

Steiner prende le mosse da una domanda apparentemente senza risposta: Perché gli esseri umani devono parlare migliaia di lingue differenti e reciprocamente incomprensibili?

I vantaggi materiali, economici e sociali dell’uso di una singola lingua sono ovvi, così come sono evidenti le spinose barriere create dalla mutua incomprensione.

L’autore orienta la risposta al perché della babele linguistica sostenendo che tale quesito è semplicemente quello della individuazione umana: ogni lingua offre una sua particolare interpretazione della vita. La ricchezza di idiomi è fonte di vita e non di caos. 

Ogni lingua umana traccia una planimetria diversa del mondo, forma una serie di mondi possibili e di geografie della memoria, e quando ne muore una, muore con essa un mondo possibile. Persino quando è parlata soltanto da una manciata di persone, una lingua contiene in sé il potenziale illimitato di scoperta.

“Muoversi tra le lingue, tradurre, significa sperimentare la tensione quasi sconcertante dello spirito umano verso la libertà”.

  • Sul Tradurre. Esperienze e divagazioni militanti – Susanna Basso

Susanna Basso ci racconta che tradurre è una forma di lettura, o di ascolto, ad alta intensità. Implica attenzione per il ritmo della scrittura, per i caratteri stilistici più riposti, per indizi infinitesimali, per simmetrie e opposizioni. 

In questo libro entriamo con lei nel lavoro quotidiano del traduttore di cui ci svela, più che i segreti del mestiere, i retroscena, lo sconforto e le soddisfazioni.

Un diario, un manuale, un racconto intimo e coraggioso che ci insegna l’umiltà e la grandezza dell’identità del traduttore che pone tutto sé stesso, senza riserve, nel confronto-scontro costante con una diversità che lascia a volte disarmati. 

Susanna Basso sussurra al cuore di chi traduce e affascina con il suo racconto tutti gli appassionati ricercatori di parole.

“Il suo è un inglese severo e, a lavorarlo troppo, si rischia di scaldarlo, di perdere la spigolosità luminosa con cui ci incanta. Di fronte a quel breve giro di frase so che sta per arrivare una di quelle difficoltà scomode, neppure oggettive che, con invidia, dovrò contemplare impotente.
Mi rassegnerò a guastare la soluzione originale, e conserverò il senso di una sconfitta incolpevole, che tuttavia renderà più alto il livello della mia successiva attenzione.”